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[su_quote]Molti giovani oggi trovano la musica lirica antiquata e distante dalla loro sensibilità. Leggendo e ascoltando quanto vi propongo, possiamo osservare in quale misura Giuseppe Verdi sia radicato nelle tradizioni italiane e abbia influenzato la nostra cultura nazionale. Forse, dopo l’ascolto dei brani proposti in questa unità didattica, troverete la musica di Verdi più famigliare di quanto potevate pensare in precedenza[/su_quote]

I testi che seguono sono stati da me adattati e liberamente tratti da Wikipedia ed altre fonti.

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GIUSEPPE VERDI

Giuseppe Verdi nacque a Le Roncole di Busseto il 10 ottobre 1813 e morì a Milano il 27 gennaio 1901; è stato sepolto nella Casa di Riposo dei Musicisti di Milano da lui fondata.

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Questionario su Giuseppe Verdi (parte prima).

La personalità

Giuseppe Verdi è universalmente riconosciuto come uno dei più importanti compositori di opere liriche, ma anche come uno dei maggiori compositori in assoluto. Subentrò ai protagonisti italiani del teatro musicale del primo Ottocento: Gioachino Rossini, Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti; come Richard Wagner interpretò in modo originale, seppur differente, gli elementi romantici presenti nelle sue opere.

Le sue opere rimangono ancora oggi tra le più conosciute ed eseguite nei teatri di tutto il mondo, in particolare la cosiddetta “trilogia popolare”: Rigoletto (1851), Il trovatore (1853) e La traviata (1853).

Verdi simpatizzò con il movimento risorgimentale che perseguiva l’Unità d’Italia e partecipò attivamente per breve tempo anche alla vita politica; nel corso della sua lunga esistenza stabilì una posizione unica tra i suoi connazionali, divenendo un simbolo artistico profondo dell’unità del Paese. Fu perciò che, un mese dopo la sua morte, una solenne e sterminata processione attraversò Milano, accompagnando le sue spoglie con le note del “Va pensiero” (il coro degli schiavi ebrei del Nabucco). Il Va pensiero, da lui scritto circa 60 anni prima, esprimendo di fatto i sentimenti degli italiani verso il loro eroe scomparso, dimostrò fino a che punto la musica di Verdi fosse stata assimilata nella coscienza nazionale

Dopo aver raggiunto una certa fama e prosperità economica, nel 1859 Verdi iniziò ad interessarsi attivamente alla politica italiana impegnandosi per il movimento risorgimentale.  La crescita della “identificazione della musica di Verdi con la politica nazionalista italiana ha avuto inizio nel 1840.  Nel 1848 Giuseppe Mazzini, che aveva incontrato Verdi a Londra l’anno precedente, chiese al compositore di scrivere un inno patriottico.

Nel 1848, durante il risorgimento, dopo “le cinque giornate di Milano” vi fu la prima guerra d’indipendenza combattuta tra il Regno di Sardegna e l’impero austriaco.

Gli Austriaci ebbero modo di leggere sui muri delle strade italiane lo slogan “Viva Verdi”, questo è stato utilizzato come un acronimo per “Viva  ‘V’ittorio ‘E’manuele ‘R’e ‘d’ ‘ ‘I’talia” ; Viva Vittorio Emanuele II re d’Italia, che era allora re di Sardegna.

Ovviamente gli Austriaci non potevano capire che la scritta “Viva Verdi” potesse riferirsi a Vittorio Emanuele II.

Nel 1859, Verdi fu eletto come membro del nuovo consiglio provinciale e nominato a capo di un gruppo di cinque persone che avrebbe incontrato il re Vittorio Emanuele II a Torino. Essi furono accolti con entusiasmo lungo il percorso e a Torino Verdi stesso ricevette grandi attestati di popolarità. Il 17 ottobre Verdi incontrò Cavour, l’artefice politico delle fasi iniziali dell’unificazione italiana. Cavour insistette per averlo come candidato alla Camera del primo parlamento del Regno d’Italia (1861-1865), ritenendo che l’elezione di un uomo della statura di Verdi a una carica politica fosse essenziale per rafforzare e garantire il futuro dell’Italia. Eletto il 3 febbraio 1861 come Deputato nel Collegio di Borgo San Donnino, l’attuale Fidenza. Eletto al Parlamento del Regno di Sardegna (che dal marzo 1861 divenne il Parlamento del Regno d’Italia), dopo la morte di Cavour, avvenuta nel 1861, Verdi frequentò poco tale ufficio. In seguito, nel 1874, fu nominato membro del Senato italiano, ma non partecipò mai alle sue attività.

Verdi aveva accettato queste cariche politiche, con riserva, perché si era reso conto di quanto fosse importante per l’allora Regno d’Italia la sua partecipazione alla vita politica.

Nel 1874, sebbene Verdi si fosse ormai allontanato (deluso) dalla politica, venne nominato Senatore. Probabilmente queste attività politiche lo distraevano dal suo interesse primario, “la musica”. In questo anno scrisse una “Messa da Requiem” per la morte di Alessandro Manzoni, rappresentata nella Chiesa di San Marco a Milano il 22 maggio.

Verdi e la S.I.A.E.

La “Società Italiana degli Autori” nasce a Milano il 23 aprile del 1882. A costituire l’associazione fu un’assemblea composta da scrittori, musicisti, commediografi ed editori dell’epoca. Tutto ebbe inizio in un palazzo del centro della vecchia Milano, il palazzo Ponti, in via Brera n. 19. Del primo Consiglio Direttivo della Società Italiana degli Autori facevano parte nomi storici della cultura e dell’arte italiana, da Giuseppe Verdi a Giosuè Carducci, da Francesco De Sanctis a Edmondo De Amicis.

La S.I.A.E. acronimo di “Società italiana autori ed editori” È una società di gestione collettiva del diritto d’autore. Gli autori e gli editori che detengono i diritti economici sulle loro opere possono affidarne la tutela alla SIAE che raccoglie le somme spettanti agli associati e le distribuisce a ciascuno di essi.

Quindi con la SIAE i musicisti potevano sostenersi economicamente ottenendo compensi per i loro diritti di autore.

Musei dedicati a Giuseppe Verdi

Nelle zone in cui Giuseppe Verdi visse si trovano alcuni musei a lui dedicati:

  • la casa natale del Maestro a Roncole di Busseto
  • il museo di Casa Barezzi nel centro di Busseto
  • il museo nazionale Giuseppe Verdi di Villa Pallavicino
  • la Villa Verdi a Sant’Agata
  • il museo di Casa Verdi a Milano
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Casa natale del Maestro

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Museo di Casa Barezzi a Busseto

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La villa di Verdi a Sant’Agata

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Adolescenza e formazione

Giuseppe Verdi nacque a Le Roncole di Busseto il 10 ottobre 1813 da Carlo Verdi (1784-1867), oste e rivenditore di sale e generi alimentari, e Luigia Uttini (1787-1851), filatrice.

Verdi ebbe una sorella più giovane, Giuseppa, morta a 17 anni nel 1833 e inferma fin dalla giovanissima età a causa di una meningite.

A partire dall’età di quattro anni, a Giuseppe furono impartite lezioni private da Pietro Baistrocchi, maestro e organista del paese.

A sei anni Verdi frequentò la scuola locale, ricevendo al contempo lezioni di organo da Baistrocchi, ma il suo evidente interesse per la musica convinse i genitori a comprargli una spinetta.

L’eccezionale talento compositivo di Verdi fu indubbiamente coltivato e accresciuto dallo studio, ma fu anche sostenuto dal padre, che intuiva le ottime prospettive del figlio. Anche Pietro Baistrocchi, che prese il ragazzo a benvolere, lo avviò gratuitamente alla pratica dell’organo e del pianoforte. Più tardi Antonio Barezzi, un negoziante amante della musica e direttore della locale società filarmonica, convinto che la fiducia nel giovane fosse ben riposta, divenne suo mecenate aiutandolo a proseguire gli studi.

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Nel 1823 i genitori iscrissero il giovane Giuseppe al “ginnasio”, una scuola superiore per ragazzi gestita da don Pietro Seletti a Busseto, dove ricevette istruzione in italiano, latino, scienze umane e retorica. Verdi tornava poi regolarmente a Roncole anche di domenica a suonare l’organo, coprendo a piedi la distanza di diversi chilometri.

L’anno seguente iniziò a frequentare le lezioni di Ferdinando Provesi, maestro di cappella nella collegiata di San Bartolomeo Apostolo, che gli insegnò i principi della composizione musicale.

Nel giugno 1827 Verdi si diplomò presso il Ginnasio e poté così dedicarsi esclusivamente alla musica, sotto la guida di Provesi. All’età di 13 anni gli fu chiesto di sostituire un musicista in quello che divenne il suo primo evento pubblico nella città natale, riscuotendo un grande successo.

Dai 13 ai 18 anni Verdi ha scritto un vasto assortimento di pezzi: marce per banda, alcune sinfonie che sono state utilizzate in chiesa, cinque o sei concerti e alcune variazioni per pianoforte, serenate, cantate e vari pezzi di musica sacra.

Poiché Verdi desiderava studiare a Milano, che offriva opportunità e risorse incomparabilmente superiori rispetto alla piccola Busseto, il 14 maggio 1831 Barezzi presentò domanda di ammissione al conservatorio milanese; Verdi venne ammesso all’esame preliminare, che tuttavia non superò. Nel verbale redatto il 2 luglio 1832 dal presidente della commissione Francesco Basily si comunica che la commissione rileva una scorretta posizione della mano nel suonare il pianoforte e pertanto decide di non ammettere Verdi al conservatorio (vari anni dopo il conservatorio di Milano prenderà il nome di Giuseppe Verdi).

L’unico voto favorevole all’ammissione di Verdi in conservatorio fu quello del celebre violinista Alessandro Rolla, che volle affidare Verdi alle lezioni private di Vincenzo Lavigna, allora maestro al cembalo alla Scala; Lavigna trovò le composizioni di Verdi “molto promettenti”. Verdi, che si allontanò progressivamente da Busseto, si radicò sempre più nello stimolante ambiente culturale di Milano. Divenne assiduo frequentatore del teatro alla Scala, dove ebbe modo di conoscere anche il direttore della Società Filarmonica di Milano, Pietro Massini. Nel 1834 fu invitato a partecipare come Maestro al Cembalo per l’esecuzione de “La Creazione” di Haydn suonata dalla stessa Filarmonica, come da lui riferito in una lettera del 19 ottobre 1879 a Giulio Ricordi. Ben presto Verdi assunse il ruolo di direttore delle prove (per La Cenerentola di Rossini). Fu proprio Massini che lo incoraggiò a scrivere la sua prima opera, su libretto del giornalista Antonio Piazza, poi denominata Oberto, Conte di San Bonifacio.

Da “Oberto, Conte di San Bonifacio” Overture

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1834-1842: le prime opere

Con l’aiuto di Barezzi ottenne il posto secolare del maestro di musica. Insegnò, impartì lezioni e diresse la Filarmonica di Busseto per diversi mesi prima di tornare, nei primi mesi del 1835, a Milano. Alla fine del febbraio 1836 Verdi fu nominato Maestro di Musica del Comune di Busseto con un contratto di tre anni. Il 4 maggio del 1836 sposò Margherita Barezzi, ventiduenne figlia del suo benefattore, con la quale due anni più tardi andò a vivere a Milano. Margherita, il 26 marzo 1837, dette alla luce la loro prima figlia, Virginia Maria Luigia, a cui seguì Icilio Romano l’11 luglio 1838.

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Gli anni successivi furono segnati da gravi lutti familiari: morirono infatti i suoi figli: Virginia, il 12 agosto 1838, e Icilio, il 22 ottobre 1839, entrambi all’età di circa un anno e mezzo.

Nel 1839 Verdi riuscì finalmente, dopo quattro anni di lavoro, a far rappresentare la sua prima opera alla Scala: l’Oberto, Conte di San Bonifacio, su libretto originale di Antonio Piazza, largamente rivisto e riadattato da Temistocle Solera.

L’Oberto era un lavoro di stampo donizettiano, ma alcune sue peculiarità drammatiche piacquero al pubblico tanto che l’opera ebbe un discreto successo e fu rappresentata in quattordici repliche, a seguito delle quali l’impresario della Scala, Merelli, offrì a Verdi un contratto per altri tre lavori.

Mentre Verdi stava lavorando alla sua seconda opera, Un giorno di regno, la moglie Margherita il 18 giugno 1840 morì di encefalite all’età di 26 anni. Un giorno di regno, opera di genere comico, fu messa in scena a settembre ed ebbe un esito disastroso, tanto che fu rappresentata una sola volta. Il compositore, a proposito del fallimento dell’opera ammise: “vi ebbe certo una parte di colpa la musica, ma una parte vi ebbe anche l’esecuzione“.

L’insuccesso dell’opera fu dovuto, con ogni probabilità, anche al momento dolorosamente difficile durante il quale fu composta. A causa di quel fallimento e dei lutti subiti, Verdi in seguito dichiarò che in quel periodo aveva deciso di smettere di comporre. La sua risoluzione dovette essere sincera, anche se poi disattesa; infatti, l’opera successiva, Nabucco, vide la luce dopo 18 mesi, un periodo relativamente lungo.

Fu ancora Merelli a convincerlo a non abbandonare la lirica, consegnandogli personalmente il testo del Nabucco, un soggetto biblico dal quale Temistocle Solera aveva tratto un libretto d’opera.

Verdi, ancora scosso dalla tragedia familiare, ripose il libretto senza neanche leggerlo. Una sera, per spostarlo, gli cadde per terra e si aprì proprio sulle pagine del “Va pensiero“. Quando Verdi lesse il testo del famoso brano rimase scosso e andò a dormire, ma non riuscì a prendere sonno: si alzò e rilesse il testo più volte; alla fine lo musicò e una volta musicato il “Va pensiero“, decise di leggere e musicare tutto il libretto.

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Frontespizio del libretto del Nabucco, 1842; la prima rappresentazione dell’opera data 9 marzo 1842

L’opera andò in scena il 9 marzo 1842 al Teatro alla Scala e il successo fu questa volta trionfale. Fu replicata ben cinquantasette volte solo tra agosto e novembre, un risultato mai raggiunto fino allora per il teatro milanese. Nei tre anni successivi fu rappresentata anche a Vienna, Lisbona, Barcellona, Berlino, Parigi e Amburgo; nel 1848 fu la volta di New York e nel 1850 di Buenos Aires.

Con Nabucco iniziò la parabola ascendente di Verdi. Alcuni personaggi, come Nabucodonosor, sono fortemente caratterizzati sotto il profilo drammaturgico, così come il popolo ebraico, rappresentato nella condizione della cattività babilonese, che si esprime in forma corale, unitaria, e che forse rappresenta il protagonista vero di questa prima, significativa, creazione verdiana.

Uno dei cori dell’opera, il celebre Va pensiero, con l’immedesimazione del popolo italiano nella figura del popolo ebraico prigioniero, finì per divenire una sorta di canto doloroso o inno contro l’occupante austriaco, diffondendosi rapidamente in Lombardia e nel resto d’Italia.

[su_box title=”Cattività babilonese” style=”glass”]Esilio o cattività babilonese è definita la deportazione a Babilonia dei Giudei di Gerusalemme e del Regno di Giuda al tempo di Nabucodonosor II. Dal punto di vista cronologico può essere indicato un periodo di massima compreso tra il VII e il VI secolo a.C.[/su_box]

Da “Nabucco” l’Overture

Da “Nabucco” “Va pensiero”

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1843-1850: gli “anni di galera”

Dopo il successo ottenuto con il Nabucco verdi si vede commissionare molte opere liriche. Il lavoro compositivo è molto intenso e continuo.

Verdi di questi anni dice: [su_quote]dal Nabucco in poi non ho avuto, si può dire, un’ora di quiete. Sedici anni di galera![/su_quote]

Nabucco segnò l’inizio di una folgorante carriera. Per quasi dieci anni Verdi scrisse mediamente un’opera all’anno, da I Lombardi alla prima crociata a La battaglia di Legnano, passando per I due Foscari, Giovanna d’Arco, Alzira, Attila, Il corsaro, I masnadieri, Ernani e Macbeth. Questi anni non furono privi di frustrazioni e sconfitte per il giovane compositore che si sentì spesso demoralizzato e tali opere giovanili, ad eccezione delle ultime due, non sviluppano uno stile particolarmente personale ma si adagiano su schemi già sperimentati in passato e legati alla tradizione melodica italiana precedente.

Grazie al successo iniziale del Nabucco, Verdi si stabilì a Milano, acquisendo numerose conoscenze influenti. Frequentò il “Salotto Maffei”, il salotto letterario della contessa Clara Maffei, diventando il suo amico di una vita e corrispondente. L’incredibile numero di repliche del Nabucco alla Scala nel 1842 spinse Merelli a commissionargli una nuova opera per la stagione 1843. I Lombardi alla prima crociata, basata su un libretto di Solera, debuttò nel febbraio 1843. Inevitabilmente nacquero diversi confronti con il Nabucco; ma uno scrittore contemporaneo osservò: “Se Nabucco ha creato la reputazione di questo giovane, I Lombardi l’hanno confermata”.

Da “I Lombardi alla prima crociata” video del brano “O signore del tetto natio”

Da “I due foscari” Atto 3 “video del brano “Alla gioia!”

Da “Ernani” Si ridesti leon di Castiglia

Da “Macbeth” Overture primo atto e “Coro di streghe”.

Verdi prestò molta attenzione all’aspetto finanziario dei suoi contratti, assicurandosi di essere adeguatamente remunerato al crescere della sua popolarità. Per I Lombardi ed Ernani (1844) era stato pagato 12.000 lire (ivi compresa la supervisione delle produzioni); Attila e Macbeth (1847), gli fruttarono 18.000 lire l’uno. I suoi contratti con gli editori Ricordi, stipulati nel 1847, erano molto dettagliati circa gli importi che avrebbe ricevuto per nuove opere, prime produzioni, arrangiamenti musicali e così via. Iniziò quindi ad usare la sua crescente prosperità per investire i proventi nell’acquisto di terreni nei pressi del suo paese natale. Nel 1844 acquisì “Il Pulgaro”, 23 ettari di terreno agricolo con casa colonica e annessi e regalò nel maggio del 1844 una casa ai suoi genitori. Nello stesso anno acquistò anche Palazzo Cavalli (ora noto come Palazzo Orlandi) su via Roma, la strada principale di Busseto. Nel maggio 1848 Verdi firmò un contratto con cui acquistò la terra e le case a Sant’Agata di Busseto che un tempo erano appartenute alla sua famiglia. Qui costruì la sua nuova casa, completata nel 1880, ora conosciuta come Villa Verdi, dove visse dal 1851 fino alla sua morte nel 1901.

Nel marzo 1843 Verdi visitò Vienna (dove Gaetano Donizetti era direttore musicale) per allestire una produzione del Nabucco. Il compositore più anziano, riconoscendo il talento di Verdi, osservò in una lettera scritta nel gennaio 1844: “Sono molto, molto felice di dare modo a persone di talento come Verdi… Niente impedirà al buon Verdi di raggiungere presto una delle posizioni più onorevoli nella corte dei compositori.” Verdi si recò a Parma, dove il Teatro Regio stava producendo Nabucco con Giuseppina Strepponi nel cast. Queste rappresentazioni eseguite nella sua regione natale furono un vero trionfo personale tanto più che suo padre, Carlo, partecipò alla “prima”. Verdi rimase a Parma per alcune settimane dopo la data di partenza prevista. Il fatto alimentò le speculazioni che il ritardo fosse dovuto alla Strepponi (che, in seguito, dichiarò che la loro relazione era iniziata nel 1843). La Strepponi fu infatti conosciuta anche per i suoi numerosi rapporti amorosi (e i molti figli illegittimi) e la sua storia passata fu un fattore imbarazzante all’inizio del loro rapporto, almeno fino a quando non formalizzarono l’accordo di matrimonio.

[su_box title=”Giuseppina Strepponi” style=”glass”]Maria Clelia Giuseppa Strepponi, detta Giuseppina (Lodi, 8 settembre 1815 – Villanova sull’Arda, 14 novembre 1897), è stata un soprano italiano, seconda moglie di Giuseppe Verdi nonché sua grande amica, confidente e consigliera, avendone curato per molto tempo gli affari. I suoi carteggi sono tra i documenti più importanti per ricostruire la biografia verdiana.[/su_box]

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La “trilogia popolare”

RIGOLETTO-TROVATORE-TRAVIATA

Nel 1853, a seguito di negoziati con La Fenice, il compositore mise a punto un libretto con Piave e scrisse Rigoletto, melodramma in musica basato sul dramma storico “Le Roy s’amuse di Victor Hugo, da rappresentare nel marzo dell’anno seguente. Fu questa la prima di tre opere (seguita da Il trovatore e La traviata) che suggellarono la sua fama. Tuttavia Rigoletto inscenava un tentato regicidio, presentando situazioni scabrose e sordide, e rischiava di non avere fortuna se fosse intervenuta la mannaia della censura.

Tratto dalla pièce di Victor Hugo, Rigoletto è un’opera profondamente innovativa sotto il profilo drammaturgico e musicale. Per la prima volta, al centro della vicenda di un’opera si trova un buffone di corte, per di più deforme. Si trattava di un personaggio molto diverso dalle grandi figure storiche, mitologiche o comunque socialmente attraenti dei melodrammi del passato: Rigoletto era di fatto un emarginato sociale. La dimensione profondamente emotiva dei protagonisti fu delineata da Verdi con maestria; azione e musica si rincorrono e si sostengono reciprocamente in una vicenda che ha ritmi di sviluppo rapidi, senza cedimenti, né parti superflue.

Verdi sostituì il personaggio del Re con quello del Duca; l’opera riscosse un grande successo in tutta Italia e in Europa. Consapevole che l’aria del Duca, La donna è mobile, estremamente orecchiabile, sarebbe diventata un successo popolare, Verdi escluse l’orchestra dalle prove, facendo provare il tenore separatamente.

Da “Rigoletto” La donna è mobile

Il successo di Rigoletto si ripeté con Il trovatore, frutto di un accordo con la società Opera di Roma, con l’obiettivo di presentare un’opera per il gennaio 1853. Grazie alle ingenti somme guadagnate, Verdi non necessitava più di commissioni per vivere e quindi poteva permettersi di sviluppare opere per conto proprio senza dover dipendere da richieste di terzi. Il trovatore fu infatti la prima opera, a parte Oberto, che scrisse senza una specifica commissione.

Da “Il Trovatore” Coro degli zingari

«La Traviata, ieri sera, fiasco. La colpa mia o dei cantanti?… Il tempo giudicherà»

È così che Verdi annuncia a Muzio l’infausto esito dell’ultima opera della trilogia, registrato il 6 marzo 1853, alla Fenice di Venezia. La traviata, tratta da La signora delle camelie di Alexandre Dumas, venne subito “tacciata d’immoralità e turpitudine”, non tanto dalla censura, ma soprattutto dal pubblico stesso. Questo pubblico, però, quello veneziano, fu lo stesso che, il 6 maggio 1854, ora al Teatro San Benedetto, la accolse trionfalmente. Verdi, in una lettera al De Sanctis del 26 maggio, concludeva freddamente:

«Tutto quello che esisteva per la Fenice esiste ora pel S. Benedetto. Allora fece fiasco: ora fa furore. Concludete voi!!!»

Da “Traviata” Overture

 

Da “Traviata” Zingarelle

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1853-1860: Sant’Agata

Negli anni tra il 1853 e il 1871, nonostante avesse ormai ampiamente raggiunto e consolidato il proprio successo, Verdi ridusse notevolmente il suo lavoro, curando la sua attività di proprietario terriero nella regione natale. Infatti, mentre negli undici anni precedenti aveva composto sedici opere, delle quali l’ultima era stata, appunto, La traviata nel 1853, nei seguenti diciotto scrisse solo sei opere: Les vêpres siciliennes, Simon Boccanegra, Un ballo in maschera, La forza del destino, Don Carlos e Aida (1871).

Da “Un ballo in maschera” anteprima

All’inizio del gennaio 1858, insieme alla Strepponi, Verdi si recò a Napoli per lavorare con Antonio Somma sul libretto dell’opera Gustave III, ou Le Bal masqué, tratto a sua volta da quello di Eugène Scribe per Daniel Auber, che nel corso di un anno sarebbe diventato Un ballo in maschera. Il libretto si scontrò con i severi requisiti della censura napoletana, che rifiutava l’assassinio di un capo di Stato e la rappresentazione dell’adulterio di Amelia (il censore suggerì di farla diventare sorella piuttosto che moglie di Riccardo), tanto che Verdi affermò: «Sto affogando in un mare di guai. È quasi certo che i censori proibiranno il nostro libretto».In seguito l’opera fu presentata al Teatro Apollo di Roma cambiando il titolo in Un ballo in maschera.

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1860-1887: da La forza del destino a Otello

Nel dicembre 1860 Verdi ricevette un’offerta da parte del Teatro Imperiale di San Pietroburgo di un compenso di 60.000 franchi oltre a tutte le spese per la realizzazione di un’opera. Per adempiere a questa commissione, Verdi pensò di adattare Don Alvaro o La fuerza del sino dello scrittore spagnolo Ángel de Saavedra. Tale idea si concretizzò nell’opera La forza del destino, un interessante connubio di elementi comici e tragici (con decisa prevalenza di questi ultimi), con Piave che si occupò della stesura del libretto.

Il 24 febbraio 1862 Verdi fece ritorno dalla Russia a Parigi, dove incontrò due giovani scrittori italiani: Arrigo Boito e Franco Faccio. Verdi era stato invitato a scrivere un brano musicale per la Grande esposizione di Londra del 1862, e il compositore scelse Boito per la scrittura del testo che divenne l’Inno delle Nazioni. Nel mese di settembre dello stesso anno, finalmente si riuscì a mettere in scena a San Pietroburgo la prima de La forza del destino. A testimonianza della fortunata esperienza in terra russa, Verdi fu insignito dell’Ordine di San Stanislao.

Da “Forza del destino” La vergine degli angeli

La massima maturazione umana e artistica del compositore di Busseto culminò con Aida, andata in scena a Il Cairo la vigilia di Natale del 1871. L’opera fu il risultato finale dei contatti tra Verdi e il kedivè d’Egitto, che nel 1869 aveva invano tentato di ottenere dal maestro un inno per l’inaugurazione del Canale di Suez.

Il libretto di Aida, scritto in francese da Camille du Locle sulla base di uno scenario immaginato dall’egittologo Auguste Mariette, fu trasformato in versi italiani da Antonio Ghislanzoni. A Verdi fu offerta l’enorme somma di 150.000 franchi per l’opera, tuttavia egli confessò di non aver mai ammirato la civiltà dell’Antico Egitto. Aida costituisce un ulteriore, grande passo in avanti verso la modernità. L’uso ancor più accentuato che in passato di temi e motivi musicali ricorrenti Leitmotiv (in italiano motivo conduttore). I motivi musicali ricorrenti potrebbero accostare tale opera al dramma wagneriano. In realtà Verdi aveva seguito un percorso del tutto autonomo in Aida, opera fondamentalmente intimista e poggiata su una vocalità dalle caratteristiche prettamente italiane. [su_box title=”Leitmotiv” style=”glass”]Leitmotiv è un termine tedesco che indica un tema musicale ricorrente associato ad un personaggio, un sentimento, un luogo, un’idea, un oggetto. È usato soprattutto nell’ambito dell’opera lirica e, successivamente, delle colonne sonore.[/su_box]

Da “Aida” Marcia trionfale

Nel 1875 Verdi diresse il suo Requiem (composto per la morte del Manzoni) a Parigi, Londra e Vienna e nel 1876 a Colonia.

Dal Requiem il Dies Irae

Nonostante i più ritenessero che La messa da Requiem fosse la sua ultima composizione, segretamente Verdi iniziò a lavorare su Otello, che Boito gli propose privatamente nel 1879. Otello è la penultima opera di Giuseppe Verdi. Il libretto di Arrigo Boito è tratto dalla tragedia omonima di Shakespeare. La composizione fu ritardata per via di una revisione del Simon Boccanegra e del Don Carlos. Conteso da numerosi teatri, infine, l’Otello debuttò trionfalmente alla Scala nel febbraio del 1887.

Da “Otello” Preludio

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1887-1901: Falstaff e gli ultimi anni

Verdi ricevette la bozza relativa a Falstaff, probabilmente ai primi di luglio 1889 ma, nonostante avesse dimostrato un certo apprezzamento, nutriva forti dubbi circa la possibilità di completare il progetto: la sua età, la sua salute e la morte di amici a lui particolarmente vicini, lo gettarono in uno stato di depressione. Tuttavia, a fasi alterne, si mise al lavoro per realizzare Falstaff.

La prima rappresentazione di Falstaff ebbe luogo al Teatro alla Scala il 9 febbraio 1893. Per la prima rappresentazione i prezzi ufficiali dei biglietti furono trenta volte più alti del solito. La famiglia reale, l’aristocrazia, i critici e i protagonisti del mondo della cultura di tutta Europa erano presenti. La performance fu un enorme successo, furono richiesti numerosi bis e alla fine gli applausi per Verdi e il cast durarono un’ora. A ciò seguì un benvenuto tumultuoso quando il compositore, sua moglie e Boito arrivarono al Grand Hotel de Milan.

Le successive rappresentazioni di Falstaff, tuttavia, in un primo momento lasciarono perplesso il grande pubblico verdiano e, più in generale, i melomani italiani. Per la prima volta dopo lo sfortunato “Un giorno di regno“, l’anziano Verdi si cimentava nel teatro drammatico, ma con la sua estrema commedia aveva accantonato in un sol colpo tutte le convenzioni formali dell’opera italiana, dando prova di una vitalità artistica, di uno spirito aperto alla modernità e di un’energia creativa sorprendenti.

[su_note note_color=”#bcd7e3″ radius=”20″]Falstaff fu sempre amato dai compositori ed esercitò un influsso decisivo sui giovani operisti, come Puccini.[/su_note]

[su_note note_color=”#bcd7e3″ radius=”20″] Falstaff era un’opera di difficile comprensione per il grande pubblico.[/su_note]

Da “Falstaff” Finale dell’opera

[su_box title=”Giuseppe Verdi” style=”glass”]Giuseppe Verdi morì a Milano il 27 gennaio 1901. Verdi fu inizialmente tumulato con una cerimonia privata nel Cimitero Monumentale di Milano, ma un mese dopo il suo corpo fu traslato nella cripta della Casa di Riposo. In quella occasione fu cantato da 820 cantanti il coro “Va pensiero”, dal Nabucco, diretto da Arturo Toscanini. Una grande folla presenziò, si stimano 300.000 persone.[/su_box]

Tra le cerimonie svoltesi in tutta Italia per commemorare la morte di Verdi, particolarmente suggestiva fu quella che si tenne, alla presenza del Duca di Genova, nel teatro greco di Siracusa. Fu stampata anche una cartolina commemorativa in occasione del luttuoso evento.

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Sia Pascoli che D’Annunzio scrissero composizioni poetiche in sua memoria. Al Museo Verdiano di Busseto è conservata la prima stesura del manoscritto originale dell’ode In morte di Giuseppe Verdi (1901) di Gabriele D’Annunzio.

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Questionario su Giuseppe Verdi (parte prima).

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